La Traviata




Foto fonte Internet




Novembre 2013




Ciò che colpisce di questo allestimento di Villa InCanto è la capacità di far emergere le emozioni legate alla vicenda narrata dalla musica di G. Verdi.
Dopo il preludio che suggerisce le tematiche dell'Opera, ci ritroviamo trascinati in una festa al Palazzo del Barone Douphol, protettore di Violetta Valéry (Hiroko Morita) e riusciamo ad immaginarla popolata da esponenti di un'aristocrazia piena di sé, fatua, votata alla ricerca di una quotidianità sfavillante che cela il nulla, una specie di stordimento danzante, di carnevale perpetuo per esorcizzare un sentore di decadenza che incombe sul suo mondo. Brindiamo con Violetta che, all'incontro con Alfredo Germont (Carlo Giacchetta), sente dentro di sé che un apparente equilibrio si sta rompendo e si fa spazio in lei la possibilità della gioia, mai sperimentata prima, di essere amata amando. Ma quel palpito insieme delizioso e inquietante che pone in armonia con l'universo viene subito soffocato dall'intenzione di perseverare in un’esistenza "libera" all'interno di una sorta di irreale teatro del divertimento. Eppure, nei suoi "gioir" percepiamo già tutta la disperazione di questa donna che sente crescere la minaccia della malattia che l'affligge, che la rende fragile come un fiore reciso e che forse presto le strapperà via la vita, questa sua vita nutrita solo di apparenze, di sicurezze barattate con la propria dignità, privata fino ad ora di bellezza autentica. Avere le lacrime agli occhi dopo "Sempre libera" non è cosa consueta. La sua scelta di abbandonare quel mondo per vivere con Alfredo, dando piena legittimità alla sua enorme capacità di amare, rivela tutto lo spessore umano di Violetta che in un certo senso giganteggia al cospetto degli altri personaggi. La successiva tormentata decisione di sacrificare il suo amore sull'altare di ipocriti e implacabili "valori" borghesi suggerisce forse un suo intimo senso di inadeguatezza per i suoi trascorsi di cortigiana, lo stesso interiorizzato senso di colpa presente anche in quello struggente "requiem" a se stessa che è "Addio del passato" e nell'espressione "pudica vergine" riferita all'ipotetica futura sposa di Alfredo. Violetta cede alle richieste insistenti del padre di Alfredo, Giorgio Germont (Matteo Jin). Antepone generosamente alla sua felicità, raggiunta al prezzo di sacrifici economici e di un effettivo isolamento, il futuro della giovane sorella di Alfredo che deve sposarsi. Giorgio Germont è figura pienamente borghese nella sua ossessione per la rispettabilità. Il matrimonio di sua figlia a cui tiene tanto è ovviamente un'unione di interesse ma "per bene". Difficilmente si può evitare di pensare che un velo di ipocrisia sia anche nel suo pur giusto sdegno verso il figlio che, ferito nel suo orgoglio maschile, compie il gesto impulsivo e oltremodo sprezzante di gettare del denaro addosso a Violetta con una chiara allusione al suo passato, gesto condizionato anche dalla frustrazione per aver vissuto contando soprattutto sulle finanze della donna. Alfredo ha comunque almeno il coraggio di pentirsi subito dopo questa pesante offesa. Anche suo padre, alla fine, riesce a comprendere la vera natura di lei, mostrando un lato di sé più autenticamente umano. Ma è ormai troppo tardi. Le rose del volto di Violetta hanno già reclinato il capo, piegate sì dalla tubercolosi ma ancor di più da quella purezza d'animo che nulla ha potuto contro la soverchiante ipocrisia sociale e l'imperante codardia umana.


Alessandra Gabbanelli


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