Pagliacci






Agosto 2012



Dopo una "Cavalleria Rusticana" di notevole qualità e spessore
artistico, non si poteva rinunciare a "Pagliacci", Opera in cui il pubblico
è parte integrante della scena teatrale. Fin dalle prime battute, ci si sente
catapultati in una dimensione indefinita in cui la realtà sfuma nella
finzione e la finzione assume i tratti del reale. La musica di Leoncavallo
e gli interpreti ci prendono per mano e la sensazione è che non si stia
solo assistendo ad una recita. Sembra invece di penetrare pian piano in un
mondo parallelo, vagamente inquietante, in cui si muovono personaggi forse
immaginari o forse reali. Incontriamo il Tonio di Alessandro Battiato che,
con mirabile abilità interpretativa, ci conduce tra le pieghe dell'animo
di questo personaggio dolente e vendicativo. Il M° Riccardo Serenelli lo
accosta a Jago (Otello). Il paragone è interessantissimo. Entrambi i
personaggi sono mossi dalla vendetta, si insinuano nella mente di Otello e
di Canio fino ad intaccarne l'equilibrio. Jago agisce in preda al
rancore perché si ritiene ferito nel suo orgoglio e sceglie razionalmente il male
che è per lui un credo. Tonio agisce perché sopraffatto dalla ferita
interiore per la sua condizione fisica che lo esclude dalla possibilità di
esprimere i propri sentimenti per Nedda senza essere da lei crudelmente
deriso. Il suo agire assume quei tratti di mostruosità che proprio Nedda
gli ha rinfacciato. Incontriamo il Beppe di Renato Cordeiro che ben
comunica l'innocenza e la buona volontà del personaggio. Incontriamo il
Silvio di Davide Bartolucci che, con ottima perizia vocale, esprime uno
slancio amoroso sincero e appassionato. Osserviamo la Nedda di Hiroko
Morita, perfetta nel tratteggiare vocalmente e fisicamente il mondo
interiore del personaggio che muta da una condizione di ingenua e quasi
superficiale spensieratezza alla consapevolezza di essere precipitata in
un vortice di passioni incontrollabili che non potranno che sfociare in
tragedia e che lei stessa ha contribuito a scatenare. Ci immergiamo nel
dramma del Canio di Dario Di Vietri che, con la sua consueta sensibilità
artistica e con eccellente espressione vocale, ci fa percepire
l'energia e la fragilità che si agitano e si confondono nell'animo del personaggio.
Credo che tutti noi, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti come
lui, costretti ad assumere una maschera di rassicurante quanto falso
sorriso, quando nel cuore c'era invece pianto e disprezzo per noi
stessi.
Come lui, ci siamo sforzati di indossare un costume da Pagliaccio per
poter meglio occultare la nostra umanità dolente e piegata.
Nell'interpretazione di Dario di "Recitar... Vesti la
giubba", commovente per senso teatrale e partecipazione emotiva, vorrei porre l'accento sulla sua espressione vocale e mimica della parola infranto
Egli
riesce a trasmettere tutta la disperazione per qualcosa di bello che Canio si era
illuso di vivere e che invece gli si sgretola inesorabilmente tra le mani.


Alessandra Gabbanelli

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