Aida



Foto fonte Internet



Luglio 2013



La produzione di "Aida" di Villa InCanto è la prova concreta che l'Opera è
soprattutto note, voci e interpretazione e che una partitura raffinata e
incisiva come questa non necessita di regie e scenografie troppo spesso
soverchianti e pretenziose che, con una sovrabbondanza di elementi visivi,
lungi dal favorirne la fruizione, distolgono l'attenzione
dall'intima essenza della composizione. L'allestimento del 7 Luglio, essenziale ed
elegante come sempre, introduce due elementi degni di nota: la
partecipazione di due trombettisti per una Marcia trionfale
qualitativamente migliore di altre ascoltate anche in teatri prestigiosi
ed eseguite con tempi discutibili, il balletto dell'Etoile Martina Pirani
che cattura l'attenzione del pubblico traducendo le note in movenze
ampie e sinuose.
I costumi di Elena Radcenco risultano appropriati, luminosi e di ottimo
impatto visivo. Impagabile, inutile dirlo, è il M° Riccardo Serenelli al
pianoforte.
Il filo conduttore che percorre quest'Opera di Giuseppe Verdi è il
contrasto insanabile tra le intime aspirazioni umane alla felicità e
l'organizzazione sociale e politica che assume le forme della famiglia (in
particolare del padre), della patria, della ragion di stato, del procedere
inesorabile della Storia, della legge che spesso si fa strumento di un
potere spietato che giganteggia e schiaccia l'individuo e le sue
esigenze più naturali e profonde. La partitura si dipana così in un arabesco di
luce e ombra, di esultanza e di presagio di morte, di melodie morbide,
insinuanti e sonorità muscolari.
E' difficile trovare le parole anche solo per suggerire la qualità
vocale e recitativa di Francesca Ruospo nel ruolo di Aida. Con voce sontuosa e
versatile e con accenti interpretativi intensi, incarna una figura di
donna complessa, orgogliosa, dolente, forte ma sottilmente sensuale.
Lacerata tra l'affetto per suo padre e il suo popolo, la nostalgia per la
sua terra natia (forse idealizzata) e il sentimento d'amore per Radamès,
condottiero nemico, vive il suo tormento costretta a dissimulare le sue
angosce come fossero una colpa. Così, anche l'amore diviene una passione
fatale ma irrinunciabile, per lei come lo sarà per Radamès e Amneris.
Fiaccata dagli insulti del mondo e schiacciata dai suoi doveri di figlia
del Re d'Etiopia, decide di convincere l'uomo che ama a seguirla
inducendolo a rivelare un segreto militare di vitale importanza e di fatto
contribuendo involontariamente alla sua condanna. Ma poi saprà compiere la
sua scelta di non piegarsi nel condividere la sorte di Radamès, elevando
in questo modo il sentimento d'amore al di sopra delle umane miserie e, in
un certo senso, facendolo trionfare.
Matteo Jin tratteggia il personaggio di Amonasro con autorevolezza vocale
e toccante partecipazione emotiva. Egli è padre ma è soprattutto sovrano e
come tale responsabile del popolo che governa e ama. Vinto, sa accantonare
momentaneamente il suo orgoglio per chiedere pietà ai vincitori ed evitare
ulteriori lutti. Nel costringere Aida a "tradire" Radamès, fa prevalere il
dovere verso la patria e, di fatto, si fa anch'egli emblema della legge
del legame di sangue e delle radici che, se da un lato costituisce
un'ancora ferma e rassicurante, dall'altro può divenire strumento di
annientamento del sentire individuale.
Carlos Fidalgo scolpisce un Radamès in cui umanità, dignità, coraggio e
virile abbandono amoroso sono resi con notevole presenza scenica,
fraseggio incisivo, voce potente e via via sempre più sicura, in
particolare negli acuti. La forza di questo personaggio non consiste tanto
nell'essere un condottiero valoroso e vincitore, quanto nella scelta di
seguire il suo sentimento, di anteporlo alla volontà di potenza del suo
Paese e soprattutto di vivere questa scelta fino in fondo. Formalmente reo
di tradimento, si consegna senza resistere, conscio del suo destino. Non
si discolpa di fronte all'autorità in quanto non vi è stata da parte sua
l'intensione di tradire e soprattutto perché, prima che soldato, sceglie
consapevolmente di essere pienamente se stesso, pienamente uomo.
Helga Piter interpreta con impegno e sensibilità la figlia del Re
d'Egitto Amneris. In apparenza potente, astuta, altera, si rivela a
poco a poco fragile e il suo percorso interiore diviene profondamente tragico.
Non è capace di governare la sua passione per Radamès e ne viene travolta.
Si illude di poter spezzare il legame di lui con Aida e di appropriarsi
così del suo amore. Dapprima espressione di un potere umiliante
nell'incontro-scontro con Aida, trova il suo riscatto nel tentativo
disperato di salvare la vita all'amato anche se egli rifiuta la sua
pietà perché ormai rifugge una vita che non può accettare e forse, anche
comprensibilmente, la disprezza. Nell'accorato appello ai sacerdoti e
nella potente invettiva che scaglia contro di loro c'è tutto il suo dramma
interiore, il dolore per un amore non corrisposto, la disperazione e il
senso di colpa per la sorte di Radamès che lei stessa, con la sua gelosia,
ha contribuito a far condannare, la rabbia e il disprezzo verso quei
"ministri del cielo" che, lungi dall'essere espressione di
misericordia, si fanno strumento di vendetta e di morte, larve spettrali mai paghe di
sangue. Con il suo anatema, si erge contro un potere religioso che è anche
potere politico, istituzionale e contro il quale non può nulla. Diviene
così una sorta di outsider, estranea ormai alla sua stessa patria e, in
definitiva, completamente sola. La sua invocazione alla pace per la "salma
adorata" è anche un augurio a se stessa affinché la sua angoscia possa
trovare un qualche sollievo.
Aida e Radamès, separati dalla guerra e dagli eventi, sembrano ritrovarsi
sulle rive del Nilo. In questa scena, una musica sensualissima sottolinea
l'abbandono di Aida alla visione di una nuova vita insieme e
l'evocazione della natura dolce e accogliente dell'Etiopia si confonde con la
promessa di future gioie amorose. Ma è soltanto nel sotterraneo, che sarà la loro
tomba, che i due innamorati saranno davvero uniti e potranno finalmente
esprimersi all'unisono. L'addio alla vita e lo schiudersi del cielo
non sono soltanto espressione di fede in una dimensione ultraterrena ma anche
immagine della possibilità di un modo diverso di percorrere l'esistenza,
in cui la gioia e la concordia possano prevalere sul calcolo,
sull'ostilità, sul disprezzo delle più profonde esigenze dell'animo umano.
Sono Aida e Radamès i veri vincitori proprio perché proiettano davanti a
loro la speranza di un'esperienza di vita più umana, in cui la Terra non
sia per troppe creature solo una valle di pianti, un luogo impervio e
violento, ma possa divenire culla di gaudio, di amore, di reciproco sostegno.


Alessandra Gabbanelli

Commenti

Post popolari in questo blog

QUEI DUE SUL TRAM

Una poetessa del 1500: Gaspara Stampa

Cavalleria Rusticana