Rigoletto




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Ottobre 2013


Il protagonista che dà il titolo all’Opera non è un principe, un eroe, una persona socialmente “rispettabile”, bensì un buffone di corte deforme il cui compito è quello di sollazzare a comando il Duca di Mantova e di farlo con le armi del sarcasmo, della parola affilata come una lama. Ma scopriamo presto che egli è anche segretamente padre di una giovane di nome Gilda sulla quale riversa tutto l’affetto di cui è capace. Il suo complesso mondo interiore, imprigionato in un corpo oltraggiato dalla Natura, tutto ciò che può tenerlo ancorato alla vita, tutti i suoi sogni sono proiettati in questa sua figlia. Solo con lei può sentirsi pienamente un essere umano. Egli intende tenerla lontana dal mondo esterno percepito come ostile e sporco, popolato da individui indegni della purezza idealizzata di Gilda. Per quel mondo e quegli individui, regnanti e cortigiani supini al potere, egli è solo un pagliaccio multicolore da comandare o da temere, maschera condannata al perenne riso, figura disumanizzata proprio perché le è tolto il retaggio umano e catartico del pianto. Al contrario del duca che, nella sua quasi totale inconsistenza, è indifferente alle sorti altrui e neanche considera la maledizione scagliata da Monterone, Rigoletto lascia che quelle parole gli entrino dentro e assumano la forma di un fantasma ossessivo a cui egli stesso contribuirà a dare corpo. Malgrado i suoi veti o forse anche a causa di essi, il reale irrompe nell’esistenza ovattata di Gilda, la conduce nell’incanto dell’innamoramento, nei meandri dei sensi che si risvegliano al naturale desiderio e la proietta nelle seduzioni del vivere ma anche nelle insidie da cui non ha potuto imparare a difendersi. Nel momento in cui Rigoletto vede Gilda uscire in lacrime dalla camera del duca, diviene accecato dalla volontà di vendetta in quanto viene ad infrangersi in lui quell’immagine irreale che ha sovrapposto alla concreta persona di sua figlia. L’altare su cui ha posto ogni suo sogno e speranza di riscatto si rovescia e diviene nuda pietra sulla quale Gilda posa il capo consapevolmente, nel momento in cui percepisce se stessa e la sua esistenza come un’onta che suo padre dovrà sopportare, vittima anch’egli di quella “cultura” sottilmente violenta e squisitamente misogina che condannava pubblicamente la naturale espressione della sessualità femminile. E quando la giovane realizza inequivocabilmente che per l’uomo di cui è innamorata non è stata altro che la breve scia di una meteora, la sua vita si svuota di senso e resta soltanto il sacrificio per salvare suo padre dalla vergogna, un innocente dalla possibile morte o il duca stesso, per quella misteriosa legge interiore per cui si può continuare ad amare anche chi ci ha ferito profondamente.


Alessandra Gabbanelli

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